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Economia Sicilia, nel 2018 il Pil si è fermato allo 0,4 per cento

Un passo avanti e due indietro. Non nel senso di un’avanguardia sociale o culturale. Semmai, alla maniera della marcia del gambero. Che potrebbe andare avanti. Invece cammina a marcia indietro. Come fa l’economia siciliana. Che annaspa, stenta, registra qualche timido segno più. Un fievole barlume. Resta però tutto sommato «intrappolata sul fondo del ciclo recessivo» esploso nel lontano, ormai, 2008. Così, se per un verso brilla per esplosione di start-up innovative, per un altro l’Isola si ancora in fondo alla classifica d’Italia per imprese in grado di saldare le fatture nei termini di legge. Sul primo fronte, dal 2004 all’anno scorso sono aumentate di 4,2 volte le attività imprenditoriali iscritte nella sezione speciale del Registro delle imprese dedicata alle start-up innovative. Pari a tre volte, la media Italia. Nel solo 2018, la Sicilia ha dato alla luce oltre 500 imprese frutto di particolare talento e originalità: più di cento (+26%) rispetto all’anno prima. Il Centro-Nord nel 2018 ha registrato il +22,5%, la media Sud-Isole è stata del +23,7%. Insomma, una bella spinta. Ma sullo sfondo di una realtà che resta in deficit di ossigeno. Nella quale, appunto, «la quota di imprese in grado di saldare le fatture nei termini di legge resta tra le più basse d’Italia e per giunta in peggioramento». A fine 2018, a onorare le scadenze come pattuito è stato in Sicilia solo il 17,5% delle aziende. Sono state il 22% quelle che hanno pagato «con grave ritardo», cioè andando oltre i trenta giorni. E rispetto all’anno precedente la situazione s’è persino deteriorata con le imprese puntuali scese di 2,3 punti e quelle cattivi pagatori aumentate di due punti. Come dire, la marcia del gambero.

 

E La marcia del gambero è il titolo del primo numero di Zoom Sicilia, il report Cisl-Diste di analisi congiunturale e outlook delle tendenze sociali e dell’economia. Un rapporto semestrale che nasce dalla partnership tra l’associazione sindacale guidata in Sicilia da Sebastiano Cappuccio e Diste Consulting, l’istituto di studi territoriali presieduto da Alessandro La Monica e diretto da un comitato scientifico che ha al timone l’economista Pietro Busetta.~Zoom Sicilia è frutto della consapevolezza che «decidere è vederci chiaro», come Cappuccio scrive nella prefazione. È stato presentato stamani a Palazzo delle Aquile, a Palermo, presenti vertici istituzionali e del mondo associativo. E oltre a Cappuccio, Busetta e La Monica, Gaetano Armao, vicepresidente della Regione e assessore dell’Economia; Roberto Lagalla, assessore regionale dell’Istruzione e formazione; gli economisti Fabio Mazzola e Benedetto Torrisi, prorettore vicario nell’università di Palermo il primo, statistico-economico nell’ateneo catanese l’altro. E per la segreteria confederale nazionale Cisl, Ignazio Ganga. A moderare l’incontro, il direttore del quotidiano La Sicilia, Antonello Piraneo.

 

Tornando al report, informa che il Pil della Regione nel 2018 s’è attestato sul +0,4% (+0,5 nel 2017). Ma mentre «nel 2006 il prodotto per abitante era più basso del 33% della media nazionale, oggi rasentiamo il 40%». In pratica, un segno più ma con l’amaro in bocca. Come riprova pure il ridimensionamento dell’apparato produttivo nel decennio 2008-2018: dieci anni durante i quali le uniche due province dell’Isola che hanno chiuso in positivo per numero di imprese non artigiane attive nel territorio, sono Ragusa e Siracusa. La prima, nel 2018 ha tagliato il traguardo delle 24.551 unità realizzando il +7%. L’altra ha registrato 24.036 aziende attive e un incremento del 5,2%. In rosso tutte le altre. Il peggior risultato, quello di Agrigento nel cui territorio, a fine 2018, si contavano 28.296 imprese attive non artigiane pari al -14,3% sul dato di dieci anni prima. A seguire Trapani con 32.472 imprese e il -9,5%; Enna: 10.181 unità e -9,3%; Caltanissetta: 17.275 imprese e -6,9%. A Catania il decennio si è chiuso con uno stock d’imprese di 63.953 unità e il -3,7%. A Messina con 35.018 aziende attive pari al -2,9%. E quanto al Palermitano, il 2018 ha registrato 61.221 attività d’impresa e un -0,9% sul dato del 2008.

 

Altrettanto in chiaroscuro, e con la prevalenza di toni grigi, la realtà sul fronte dell’occupazione. Il 2018, precisa il rapporto, in Sicilia si è concluso con un numero di occupati che non arriva al milione e 400 mila (1,363). In percentuale, lo 0,3 in meno dell’anno precedente: quattromila posti persi. Quest’anno la situazione dovrebbe migliorare ma di una incollatura. La stima per il 2019 è infatti di un modestissimo aumento di duemila nuovi lavoratori. Un piccolo passo, certo. Che lascia tuttavia l’Isola ancora lontana anni-luce dalla realtà occupazionale del 2007, anno che precedette le lunghissime fasi recessive. Rispetto a dodici anni fa, all’appello mancano, si legge, ben 118 mila posti di lavoro. Per di più «la crisi, tra il 2008 e il 2014, ha bruciato 160 mila posti di lavoro: quanto la popolazione di Trapani, Enna e Caltanissetta messe insieme». E quest’esercito di espulsi dal mercato «solo per un quarto» è stato riassorbito nel quadriennio successivo. «Ecco perché – con le parole di Cappuccio – la Cisl alla Regione chiede che, non appena l’Ars avrà mandato in archivio, finalmente, il Collegato alla Finanziaria, all’ordine del giorno del Governo regionale sia iscritto un confronto ampio Esecutivo-parti sociali per un patto a tutto tondo sui temi della crescita, della ripresa degli investimenti anche mediante le tanto attese Zes, delle infrastrutture, dello sviluppo ecosostenibile, del rilancio dell’occupazione». Tanto più, sostengono alla Cisl, che pure la realtà della disoccupazione suscita inquietudine e apprensione.

 

Attualmente in Sicilia il tasso di disoccupazione viaggia sul 21,5%: 8,6 punti in più del 12,9% del 2007. Almeno stando alle statistiche ufficiliali. Che però non dicono tutto. Precisa al riguardo il report che se si tiene conto «delle persone che vorrebbero lavorare ma non hanno fatto azioni di ricerca perché scoraggiate o per altri motivi», il numero dei potenziali disoccupati cresce a 900-950 mila e il balzo in su spinge al 40,7% il cosiddetto tasso di mancata partecipazione al mercato del lavoro. Insomma, uno scenario che rischia di tingersi di allarme sociale. E che imporrebbe un colpo d’ala anche sul piano delle leve da manovrare per innescare processi di sviluppo. Ricorda Busetta «che in Sicilia il rapporto occupati/popolazione è pari a 1/4, in Emilia Romagna è di 1/2. La media Italia, che risente dei tanti ritardi del Sud, è di 1/3. Il gap occupazionale è evidente». Perché se la Sicilia volesse portarsi sul dato medio italiano, dovrebbe arrivare a 1,7 milioni di occupati: avrebbe bisogno di altri 400 mila posti di lavoro. Se invece come benchmark si assumesse l’Emilia Romagna, allora di nuovi posti di lavoro ne servirebbero 2,3 milioni. Cioè 900 mila in più. Così, «quello che serve alla Sicilia – afferma il professore – è una visione di sviluppo. E piani di medio-lungo periodo. Politiche improntate alla gestione ordinaria, non portano lontano». Secondo Cappuccio, «la Sicilia ha bisogno di strategie capaci di attrarre investimenti legando sviluppo e politiche attive del lavoro; e di aree che siano punti di forza anche occupazionale per la loro significativa forza attrattiva, fiscale, economica. Pure in termini di semplificazione degli iter amministrativi».

 

Sul versante della domanda, Zoom Sicilia segnala l’indebolimento dei consumi delle famiglie, aumentati nel 2018 dello 0,5% appena. +0,7% il dato stimato per quest’anno, con uno 0,2 aggiuntivo calcolato per la spinta del cosiddetto reddito di cittadinanza. Gli investimenti fissi delle imprese, in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto, l’anno scorso sono aumentati del 3,4% grazie specialmente agli incentivi fiscali. Quest’anno, è atteso invece un assai modesto 1% a causa soprattutto del clima dimesso che si respira, e che non aiuta. Quanto agli investimenti in costruzioni, il trend negativo degli ultimi quindici anni nel 2018 ha rallentato registrando un -0,5% che quest’anno si ipotizza giri in positivo con «una beneaugurante inversione di tendenza (+0,8%) stimolata dall’urgenza di rimettere in moto l’attività nel comparto delle opere pubbliche». Brillante la performance del settore agricolo, che ha chiuso il 2018 crescendo del 3,6% e «recuperando larga parte del calo del 2016-2017». E anche quest’anno, l’agricoltura siciliana dovrebbe conservare un profilo di crescita ma «in decelerazione», concludendo così il 2019 con un +1,9%. Più contenuta la dinamica del «vasto settore dei servizi», che ha terminato il 2018 con un esiguo +0,2% che è previsto si ripeta praticamente tale e quale alla fine del 2019 (+0,3%). Insomma, è il commento di La Monica, «Zoom Sicilia è uno strumento unico nel panorama regionale. Perché vuole indagare la realtà siciliana e le sue tante sfaccettature. E perché punta a elaborare previsioni sull’andamento nel breve termine dell’economia siciliana. E prevedere è cruciale, per la politica, per i cittadini. In generale per la società».

 

Infine, il Ponte sullo Stretto. Sullo sfondo della stagnante questione Tav e del nebuloso dibattito su cantieri e infrastrutture, il report riporta al centro il tema Ponte. E ricorda che «i lavori ebbero inizio nel 2011 e furono interrotti nel 2012 dal Governo Monti, che mise in liquidazione la Stretto di Messina spa e la privò di 1,2 miliardi di euro di fondi Fas (ora Fsc) destinandoli ad altri lavori, in particolare al terzo valico del Giovi, per risparmiare otto minuti tra Milano e Genova». L’interruzione unilaterale di quei lavori, sottolinea lo studio, «ha prodotto un danno di 900 milioni di euro pari alla penale che la SdM (e quindi il ministero dei Trasporti) dovrà pagare a Eurolink, l’impresa che avrebbe dovuto realizzare l’opera». Calcola quindi il report che «il costo annuale dell’insularità che 5,2 milioni di siciliani sostengono per la mobilità di persone e merci da e per l’Italia, è pari a tre miliardi di euro l’anno». E che, a tre anni dal voto del parlamento Ue che ha riconosciuto la condizione di insularità di Sicilia e Sardegna, i siciliani a differenza dei sardi «non godono della continuità territoriale aerea» che da e per la Sardegna consente di pagare per tratta «non più di 50 euro».

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