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Passare una mattinata nell’atelier dell’artista di Santa Flavia, Benedetta Tomasello, è un’esperienza unica ed irripetibile. Lo spazio è stato ritagliato a propria misura ed ogni centimetro quadrato di esso è intriso dell’essenza più profonda dell’artista. I disegni e le sculture sono ovunque; i mobili, le pareti, il pavimento ed il soffitto sono da lei colorati, disegnati, scritti. L’atelier di Benedetta è molto intimo pertanto bisogna entrare con molto rispetto ed in punta di piedi, perché Benedetta si trova in ogni oggetto lì presente e si presenta nuda e vulnerabile, semplicemente vera. Per questa ragione mi sono sentito privilegiato a poter scrutare, toccare e contemplare il suo spazio e le sue creazioni.
Quello che più colpisce delle opere di Benedetta è l’equilibrio delle forme e la fortissima personalità dei pezzi. In particolare lo sguardo penetrante e scrutante dei volti di Benedetta, chiariscono in maniera inequivocabile l’operazione che lei fa nei suoi atti creativi: dona luce alle ombre, le tira fuori dall’argilla, dalla carta, dalle pareti, verosimilmente tira fuori anche le proprie ombre e quelle delle anime che incontra per metterle in luce per mezzo della sua arte. Se ad uno sguardo superficiale le creature di Benedetta possono sembrare inquietanti, un attento osservatore non può non notare che esse in realtà donano un grande sentimento di pace e serenità. Questo è dovuto perché pare che le l’artista esprima in maniera alquanto singolare l’archetipo junghiano dell’ombra.
Ed è proprio alle ombre, la propria amalgamata a quella di molteplici anime, che dona luce Benedetta. Di fatto le ombre intese come archetipo junghiano, vengono normalmente represse e/o nascoste dalla coscienza, tuttavia l’ombra, nonostante il suo carico di scompiglio perturbante, rappresenta gli istinti più vitali dell’essere umano, senza i quali esso perderebbe di fantasia. In questo gioco estetico di mettere le ombre in vita, l’artista dona loro una luce accecante che abbaglia con tutto il proprio carico di scompiglio l’osservatore. Tale sublimazione è perfetta e, paradosso nonostante, l’opera raggiunge un equilibrio capace di donarci un grande senso di pace pur scuotendoci.
Per certi versi potremmo definire l’arte di Benedetta sacra, infatti in essa si scorge la sua ricerca del divino.
Se nella genesi è scritto che “in principio era il verbo” e che dal verbo si è giunti quindi alla materia e all’uomo infine. Benedetta ripropone un viaggio inverso per raggiungere il divino. Parte dalla materia giungendo al verbo per ritrovare il divino. Infatti l’artista prima crea l’opera e soltanto dopo che l’opera ha un suo valore ontologico, scrive. Pertanto possiamo affermare che il fine ultimo di tutto il suo operato artistico è la sua ricerca di Dio.