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Le Pmi italiane sono solide ma necessitano di un maggiore sostegno per un cambiamento che le aiuti a crescere. Questo in estrema sintesi il commento di Alessandro Dragonetti, Managing partner e Head of Tax di Bernoni Grant Thornton, intervenuto a “Industria Felix – La Lombardia che compete” in occasione della presentazione dell’inchiesta condotta dall’Ufficio studi di Cerved relativa all’analisi di 32mila bilanci dell’anno 2018 di società di capitali lombarde con fatturati sopra i due milioni di euro, alla presenza delle imprese primatiste e più performanti della Regione.
I dati del nuovo Rapporto Cerved indicano che nel 2018 e nella prima parte del 2019, la ripresa delle PMI ha esaurito il suo slancio di crescita almeno per quanto riguarda fatturato e profitti. «Nel 2018 il fatturato – ha commentato Alessandro Dragonetti durante il suo intervento – è cresciuto infatti del 4,1% in termini nominali, ma è rimasto sostanzialmente ai livelli del 2017 in termini reali. E soprattutto la redditività netta di tali imprese è in calo (dall’11,7% del 2017 all’11% del 2018) per la prima volta dal 2013 e questo è un piccolo campanello d’allarme anche considerando che sempre secondo il Cerved questo dato potrebbe ulteriormente comprimersi nei prossimi anni».
Un fattore positivo – sempre secondo i dati del Cerved – che fa da controaltare a tale rallentamento è quello relativo alla solidità delle nostre Pmi. Più di una Pmi su due non ricorre infatti a capitale di terzi ed effettua esigui investimenti, mantenendo livelli elevati di liquidità in azienda. Ciò si riflette in un rafforzamento del capitale proprio e una conseguente maggiore autonomia finanziaria rispetto al passato. In particolare, il peso dei debiti finanziari in rapporto al capitale netto è sceso nel 2018. E, infatti, a fronte di questa significativa disponibilità di risorse interne, gli investimenti delle Pmi (in particolare manifatturiere) nel 2018 sono risultati in forte crescita (7,1% delle immobilizzazioni materiali, dal 6,4% dell’anno precedente). «Questo dato positivo – ha aggiunto Dragonetti – è ancora però troppo basso e l’importante cash flow a disposzione delle aziende viene per lo più prudenzialmente mantenuto all’interno delle imprese stesse, sintomo ancora di grande incertezza e di politiche prudenziali che non agevolano lo sviluppo della categoria».
«Tra le cause che ostacolano una crescita adeguata del comparto – ha aggiunto Dragonetti – ne sottolinerei due, da una parte una troppo limitata distinzione proprietà – management; il 66,6% delle PMI italiane ha infatti management familiare contro il 28% delle tedesche, il 35,5% delle spagnole e il 10,4% delle inglesi e dall’altra una chiusura che definrei un po’ ‘culturale’ nei confronti del ricorso al capitale di terzi».
«Il comparto delle nostre Pmi – ha concluso Dragonetti – rimane comunque uno dei più solidi del tessuto economico italiano, dimostrando di sapersi adattare anche agli scenari più complessi, evolvendosi con flessibilità e dinamismo». «Per sostenerne un’ulteriore crescita è necessario attivare nuovi processi nella ricerca dei capitali, sistemi di governance più articolati, maggiori investimenti in R&S e infine migliori agevolazioni a processi di aggregazione e di internazionalizzazione, necessari nell’attuale contesto economico globale».