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La domanda, ormai, è frequente: per chi vota la mafia? Un ragionamento necessario in una terra, la Sicilia, piegata da sempre agli interessi criminali e che ha dovuto subire l’onta di un presidente condannato per aver favorito Cosa nostra. Ma al di là della polemica sugli impresentabili, sottolineatura di un problema che riguarda più l’opportunità che il livello penale, bisogna pur chiedersi quale potrebbe essere la logica seguita dalle famiglie di mafia che pure hanno ancora un certo controllo del territorio.
C’è un interesse politico ad avere un referente seduto all’Assemblea regionale oppure un assessore? La torta dei fondi pubblici resta comunque grande ma chi è che decide il come e quando spendere i soldi? Domanda opportuna perché rimanda ad altri livelli decisionali, sempre all’interno dell’ampio apparato siciliano. Negli ultimi anni, si è visto, ha pesato enormemente il potere della burocrazia, il peso specifico in decisioni importanti e in settori parecchio delicati: molti burocrati sono finiti in manette per reati vari, pur non direttamente collegati a fattispecie da 416 bis, ovvero associazione mafiosa. C’è un livello di interlocuzione intermedio dunque e a quel livello si rivolge probabilmente anche la mafia che ha interesse a creare legami con il potere per fare affari. Non è un blocco sociale che sceglie di stare da questa o da quella parte per saziare aspettative ideali o di grande interesse streategico. C’è semmai un interesse a permeare con vari strumenti (la corruzione innanzitutto) i sistemi decisionali che spesso sono sì dipendenti dalla politica ma da questa, nello stesso tempo, abbastanza autonomi per prassi: il comportamento della burocrazia, come molti sanno, può persino essere difforme dalle indicazioni politiche generali.
Ci si deve piuttosto chiedere quali saranno le scelte di quel blocco (questo sì sociale) che ha fatto della mediazione tra interessi criminali e apparato decisorio un vero e proprio affare. Conta più capire che cosa è oggi l’apparato mafioso in Sicilia: non quello militare, che può essere considerato il braccio armato. Ecco perché fermarsi alla sola analisi degli impresentabili senza mettere a frutto il materiale raccolto in tanti viaggi in Sicilia può essere per la commissione Antimafia solo un esercizio di stile, una presenza simbolica. Vogliamo parlarne? Il filo è quello della corruzione e della contiguità e l’interesse politico può essere quello dell’immobilismo per mantenere intatti equilibri e interessi consolidati. Da anni, per esempio, c’è chi chiede trasparanza nell’apparato regionale, comunale, delle partecipate dell’isola (che poi sono un tutt’uno con gli enti pubblici). Trasparenza nei bilanci, negli affidamenti, nei noli e soprattutto nei pagamenti alle imprese che spesso non rispettano l’ordine cronologico di presentazione delle fatture ma criteri che possono apparire confusi ma che tali non sono anzi tutt’altro.
Ecco perché è necessario chiedersi: chi sono oggi gli interlocutori dei mafiosi e dei loro prestanome? Sono i politici? Oppure quel mondo dei colletti bianchi che opera, a volte, all’ombra della politica ma spesso all’ombra dei palazzi del potere senza avere nulla a che fare con la politica? Leggere i fatti secondo logiche antiche mentre si continua a dire che la mafia ha cambiato pelle forse non aiuta a comprendere un fenomeno frutto di una strategia di sommersione che è stata avviata qualche anno fa. La mafia non fa più affari? Li fa eccome ma è nella filiera delle autorizzazioni (comunali e regionali), delle concessioni che va cercato il filo conduttore.