La Sicilia è di nuovo nell’occhio del ciclone per una nuova emergenza ambientale: un progetto di depurazione contestato, lacune amministrative, e la concreta minaccia di sanzioni europee per 100 milioni di euro.
La Commissione Europea ha recentemente lanciato un monito ufficiale all’Italia per il mancato rispetto delle normative comunitarie, e la Sicilia si ritrova ancora una volta sotto i riflettori come epicentro delle criticità. L’attenzione è catalizzata dal progetto di collettamento dei reflui dei comuni di Terrasini e Cinisi all’impianto consortile di Carini, un intervento che, anziché risolvere le inadempienze storiche in materia di depurazione, rischia di peggiorare la situazione. Le critiche sollevate da associazioni ambientaliste e dall’europarlamentare siciliano Giuseppe Antoci si concentrano sulla mancanza di alternative sostenibili e sulle lacune nei processi autorizzativi.
Secondo dati della Commissione Europea, l’Italia ha tempo fino al 31 dicembre 2024 per adeguare i propri impianti di depurazione alla direttiva 91/271/CEE e al regolamento UE 2020/741 sul riutilizzo delle acque trattate, altrimenti rischia sanzioni superiori ai 100 milioni di euro.
Il progetto di collettamento si inserisce in un contesto già gravato da ritardi infrastrutturali e politiche frammentarie. La Corte di Giustizia dell’UE, nella causa C-85/21, ha evidenziato inadempienze gravi che riguardano 57 agglomerati siciliani, molti dei quali privi di sistemi fognari adeguati. Nel tentativo di affrontare queste problematiche, il Consiglio dei Ministri ha approvato il secondo aggiornamento del Piano di Gestione delle Acque del distretto idrografico siciliano per il periodo 2021-2027, adottato dall’Autorità di Bacino della Presidenza della Regione. Questo aggiornamento punta a migliorare la qualità della gestione delle acque reflue, allineandosi agli standard europei e rispondendo alle sentenze della Corte di Giustizia.
Terrasini e Cinisi, secondo il Piano di Tutela delle Acque (PTA) della Regione Sicilia, avrebbero dovuto sviluppare soluzioni autonome rispettando le specificità idrogeologiche locali. Tuttavia, la scelta di collegarli all’impianto di Carini non sembra rispondere a queste esigenze.
Giuseppe Antoci, in una recente interrogazione alla Commissione Europea, ha sollevato specifiche preoccupazioni riguardo alla conformità del progetto con la normativa UE. Nel documento PE766.129v01-00 del 28 ottobre 2024, Antoci ha chiesto chiarimenti sulla conformità del progetto alle direttive europee, in particolare alla direttiva 91/271/CEE e al regolamento (UE) 2020/741. Ha sottolineato come il progetto sembri ignorare la necessità di rispettare i bacini idrografici di origine, mettendo a rischio l’ecosistema e le risorse idriche locali. Ha inoltre evidenziato la mancanza di alternative progettuali, come emerso anche dal parere istruttorio conclusivo NP. 19/2024 della commissione tecnica specialistica regionale. (Antoci E-10-2024-002270…).
Inoltre, la Regione Sicilia è una delle aree più monitorate per questioni ambientali in tutta Europa. Nonostante alcuni progressi fatti dall’Italia, come l’adeguamento alle Direttive NIS2 e CER (rispettivamente sulla sicurezza dei sistemi informativi e la resilienza delle infrastrutture contro minacce ed emergenze), le infrazioni italiane continuano a generare sanzioni pesanti, con la Sicilia rappresentante il “banco di prova più emblematico” per le criticità strutturali ancora irrisolte.
Dal 2012 ad oggi, l’Italia ha accumulato oltre 1,1 miliardi di euro di sanzioni per infrazioni ambientali. Quasi il 70% ha riguardato inadempienze ambientali, in particolare nel settore della gestione dei rifiuti e del trattamento delle acque reflue.
Il problema delle acque reflue urbane si aggiunge a quello delle discariche abusive, anch’esso oggetto di una sentenza della Corte di Giustizia (Causa C-196/13), che impone ancora oggi una multa semestrale di 5 milioni di euro.
Questi dati mettono in luce le ricadute economiche delle mancate politiche di sostenibilità. Sono risorse che potrebbero essere investite per migliorare le infrastrutture e i servizi essenziali per i cittadini siciliani. Invece, rischiano di essere sottratte alle comunità locali per coprire gli errori e la mancanza di pianificazione delle istituzioni.
La gestione delle acque reflue in Sicilia richiede un cambio di passo urgente. Le soluzioni devono essere ambiziose e strutturali, puntando su:
Il governo italiano ha introdotto il Decreto Legge 131/2024 per affrontare le infrazioni UE con misure straordinarie. Tuttavia, l’esecuzione di tali interventi in Sicilia resta un punto dolente, con ritardi e mancanza di coordinamento tra istituzioni locali e nazionali.
La Sicilia rappresenta un banco di prova non solo per l’Italia, ma per l’intera Unione Europea. Rispettare le normative non è più solo un obbligo, ma una questione di sopravvivenza economica e ambientale. Perché le acque reflue, da problema, possano diventare risorsa.
Brigida Raso
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