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Palermo -Tra il dire e il fare c’è di mezzo il coraggio. E’ come se fosse un messaggio in bottiglia gettato nel mare magnum della rete. Lo si ritrova sulla pagina Facebook di Isabella Cacciatore, 32 anni, un figlio di cinque anni, un passato da campionessa di canottaggio (“Quattro volte campionessa italiana” sottolinea) e un presente di professionista nel mondo della comunicazione e dell’organizzazione dei grandi eventi. Con una tessera in tasca del Partito democratico Isabella ha scelto di stare dalla parte di Fabrizio Ferrandelli che, come è noto, non ha affatto l’appoggio del Pd ufficiale. Anzi, di più, Isabella ha scelto di scrivere il racconto dei Coraggiosi, il movimento fondato dal giovane ex deputato regionale che oggi si candida a sindaco di Palermo: domenica pomeriggio alle 18 al Tennis Club 2 (ma a Palermo per tutti è TC2) presenta la sua candidatura al consiglio comunale.
Nata e cresciuta a Romagnolo, quartiere della periferia più controversa e abbandonata di questa città, Isabella ha proprio gli occhi di chi con gli ultimi, i poveri, gli emarginati ha convissuto e continua a convivere nella sua costante attività di volontariato, che poi è la cifra del movimento di Ferrandelli e della gente che lo segue quasi da sempre, fin da quando era un giovane leader del movimento Umanista palermitano. “Vieni – dice – vieni con me all’ex Cep uno di questi giorni e vieni a vedere l’aspetto vero di questa città. Un quartiere di gente perbene ma bisognosa. Un quartiere in cui gli approfittatori delinquenti spingono i ragazzini e le ragazzine a prostituirsi”.
La domanda arriva quasi spontanea: va bene il sociale, l’impegno, ma chi te lo fa fare a candidarti al consiglio comunale?
Io penso che bisogna smettere di essere spettatori e bisogna lottare per una Palermo del riscatto, per i giovani, i lavoratori, le famiglie.
Bene. E da dove si comincia?
Si comincia impegnandosi nelle cose che si conoscono bene. Vogliamo per esempio parlare della cultura a Palermo? Oppure dello sport?
La cultura è un bell’argomento. Andiamo a toccare un punto in cui l’amministrazione comunale guidata da Leoluca Orlando può dire di aver portato risultati.
Ha poco da vantarsi. E’ uno dei settori gestiti peggio da questa amministrazione: saremo pure Capitale della cultura ma non siamo certo capitale della buona amministrazione.
Cominciamo bene. Parliamone.
La cultura è uno di quei settori in cui è più evidente la mancanza di programmazione e a volte non è chiaro quale sia l’obiettivo di certi comportamenti. Faccio un esempio?
Facciamolo.
Il bando per le manifestazioni natalizie che è arrivato a ridosso del 25 dicembre (tre giorni prima di Natale): alla fine su 300 progetti circa presentati ne sono stati approvati 40 ma i criteri non erano interpretabili e discutibili, con aggiudicazioni a ridosso della festività ed è ovvio che così vi sia il rischio che aumenti il contenzioso. Ora io dico: si sa già quando cade il Natale, quando cade il Capodanno, e così via ma spesso i bandi vengono fatti all’ultimo minuto e quasi in emergenza. Quella dell’emergenza, poi, è un’abitudine di questa amministrazione.
Bene. Fin qui le critiche, ma qual è la proposta?
Io credo si debba cominciare a programmare. Perché programmare non è solo un atto formale ma è un modo di dare certezze agli operatori, agli imprenditori del settore, a chi è interessato a lavorare nella cultura in questa città. Che può essere anche un imprenditore non palermitano, anzi è persino auspicabile che vi siano aziende che arrivano da fuori perché dobbiamo essere capaci di attrarre imprese sane in questo ambito. Ma per farlo servono altre cose.
Per esempio?
Per esempio luoghi per gli eventi che siano adeguati. Il Teatro di Verdura può contare su poco più di duemila posti a sedere che sono pochi, anzi pochissimi. E così noi, a Palermo, una delle più grandi città d’Italia, non siamo in condizione di organizzare grandi eventi. Non solo: non si riesce mai ad avere per tempo risposte certe su possibili soluzioni di ripiego come se non si sapesse che per avere una grande star internazionale bisogna organizzare tutto per tempo.
Fin qui la cultura. Si parlava anche di sport.
In questo caso le cose, se possibile, sono andate anche peggio. Si può dire che è stata fatta la politica del rattoppo. Non ci sono impianti e quelli che ci sono spesso non sono in condizione di accogliere gli atleti. Così in questa città lo sport è un diritto garantito solo a chi può permettersi di pagare. Chi invece non può permetterselo, ovvero la gran parte dei palermitani, si deve arrangiare o rinunciare. Eppure basterebbe poco.
Per esempio?
Il Comune potrebbe cominciare smetterla di lavorare da solista. Ci sono le associazioni sportive, c’è il Coni: si potrebbe cominciare a dialogare con chi fa sport quotidianamente, chi ha le competenze, chi conosce gli sportivi. Potrebbero essere le federazioni o le associazioni sportive a gestire, secondo i casi, gli impianti: loro hanno interesse a farli funzionare. Non c’è nulla da inventare in questo caso: esistono gli esempi in Italia che dimostrano sia possibile. Ma anche per confrontarsi ci vuole la volontà.