Una lettera aperta al Ministro Bonafede per chiedere un incontro ed esporre le ragioni che hanno spinto l’Aipavv, l’Associazione italiana praticanti avvocati che conta più di 4.000 iscritti in tutta Italia, a intraprendere una battaglia di legalità a tutela di tutti i praticanti avvocati. Dopo la denuncia di irregolarità e violazioni dei vincoli comunitari in tema di libero accesso al lavoro e libertà di stabilimento e concorrenza, l’Aipavv torna alla carica interpellando direttamente il Ministro della Giustizia affinché possa mettere la parola fine a un’annosa vicenda che penalizza i praticanti italiani rispetto ai colleghi europei.
Un praticante italiano diventa avvocato non prima dei 30 anni. È infatti questa l’età media nella quale ci si abilita alla professione forense in Italia. Nel resto d’Europa, invece, le cose vanno diversamente e l’età media crolla ai 25 anni d’età.
In base al diritto di stabilimento, infatti, qualsiasi professionista con nazionalità europea può svolgere liberamente la professione in uno dei 26 paesi UE. In altre parole, gli abilitati venticinquenni europei possono entrare nel mondo forense italiano e, legittimamente, esercitare la professione con cinque anni di vantaggio rispetto ai giovani italiani.
Da tanti anni, e da più parti, è stato segnalato quanto tale esame d’abilitazione sia anacronistico, eccessivamente complesso (tre prove scritte e un esame orale con sei materie di verifica) e non rispettoso dei principi costituzionali, europei e della Cedu.
“Negli anni precedenti – si legge nelle lettera aperta – gli esiti delle prove scritte venivano comunicati già nel mese di giugno, così da consentire agli aspiranti avvocati che avessero superate le tre prove scritte di prepararsi per tempo a sostenere le prove orali (da settembre in poi) e a coloro che, invece, avessero ricevuto esito negativo (di norma il 70% dei partecipanti) di prepararsi a sostenere le prove scritte nella sessione successiva.
Con riferimento alla sessione 2019, il D.L. 34/2020 (Decreto Rilancio), pur disponendo all’art. 254 la prosecuzione delle correzioni (precedentemente sospese dal D.L. 22/2020), ometteva di indicare un termine certo entro il quale garantire la pubblicazione degli esiti, demandando tra l’altro alle singole Commissioni la scelta di operare le correzioni anche “da remoto”, cosa che, come sappiamo, ha portato alla correzione degli elaborati per fine agosto, termine a dir poco breve.
A causa del citato periodo (durato quasi nove mesi), gran parte degli aspiranti avvocati che ha superato le prove scritte potrebbe non riuscire a sostenere la prova orale entro il mese di dicembre 2020, ritrovandosi così a dover sostenere il c.d. “scritto cautelativo”, cosa che in realtà accade da anni a Roma, Napoli, Bologna, Milano e che non è più accettabile”.
Un altro punto toccato nella lettera, riguarda il principio di “trasparenza” che dovrebbe caratterizzare ogni scelta adottata dalla Pubblica Amministrazione. “L’esame di abilitazione forense – si legge ancora – non rispetta affatto questa regola basilare: infatti i praticanti avvocati che non hanno superato la prova scritta non possono conoscere le ragioni poste alla base del giudizio di non ammissione alla seconda parte dell’esame di Stato.
A dire il vero, la c.d. legge di riforma 247/2012 prevedrebbe un vero e proprio obbligo in capo alle commissioni esaminatrici di motivare in maniera dettagliata i giudizi di esclusione. Ma come ben sappiamo tale normativa, seppure adottata nel 2012 non è ancora entrata in vigore. (…) A livello costituzionale, l’obbligo di motivazione è sancito dall’articolo non solo ex art. 97, ma anche dall’art 113 Cost. che prescrive come l’attività amministrativa debba essere improntata e finalizzata all’imparzialità e al buon andamento”.
Per tale ragione, insieme ai legali dello Studio Leone-Fell, specializzato nelle azioni legali contro le illegittime delle procedure abilitative e concorsuali, l’Aipavv ha attivato un grande ricorso straordinario al Presidente della Repubblica contro l’attuale impianto dell’esame d’abilitazione.
Con il ricorso, verrà inoltre rilevata la violazione e/o la falsa applicazione della direttiva comunitaria 958/2018 che regolamenta gli esami di accesso alle professioni con titolo abilitante e che sarebbe rispettata ove entrasse integralmente in vigore la disciplina di cui alla legge 247/2012. Tale ultima normativa di riforma, infatti, non è ancora entrata in vigore per le sue parti “innovative”.