Banche: ricavi stabili a 82 miliardi di euro e utili in salita del 2%, grazie a interventi sui costi, con quelli del personale scesi di 2,2 miliardi (-7,2%), e grazie a minori accantonamenti e svalutazioni relativi a crediti deteriorati per 6,4 miliardi (-33%).
È questa la fotografia sui conti del 2018 delle banche italiane scattata dalla Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) a pochi giorni dall’avvio del negoziato per il rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro di 300.000 bancari.
Secondo la ricerca della Fabi, che ha elaborato dati della Banca d’Italia, nell’ultimo anno i costi delle banche sono scesi da 56,8 a 54,8 miliardi del 2017: la spending review è stata tutta carico dei lavoratori con interventi pari al 7,2%, da 30,7 miliardi a 28,5 miliardi. I costi del personale assorbono il 34,4% dei “ricavi” nel 2018 rispetto al 37,5% del 2017.
«Negli ultimi anni, i conti delle banche italiane si sono chiusi con importanti risultati, raggiunti, però, solo con riduzione degli npl e tagli ai costi. Finita la pulizia dei bilanci, svendendo le sofferenze, le banche proseguiranno a macinare utili solo sforbiciando le spese per il personale dirottando le risorse su consulenze e dividendi? Dai banchieri, mi aspetto nuove idee, strategie e progetti per allargare il business e aumentare i ricavi, che invece sono sostanzialmente fermi. In quest’ottica le lavoratrici e i lavoratori non vanno sacrificati a vantaggio della tecnologia» commenta il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni.
Sono proseguiti nel corso del 2018 gli interventi sul fronte dei costi: in totale, lo scorso anno le “uscite” sono state pari a 54,8 miliardi con una riduzione di 1,9 miliardi (-3,5%) rispetto ai 56,8 miliardi del 2017. I risparmi sono tutti a carico dei lavoratori: si osserva una marcata riduzione, infatti, sul fronte dei costi per il personale (dei quali la componente principale è rappresentata dagli stipendi): la sforbiciata è pari a 2,2 miliardi (-7,2%) da 30,7 miliardi del 2017 a 28,5 miliardi del 2018. Per quanto riguarda i primi 5 gruppi bancari del Paese, i costi totali sono scesi di 2,8 miliardi (-8%) da 25,1 miliardi a 32,3 miliardi; tra questi, le spese per il personale sono diminuite di 2,4 miliardi (-12,4%) da 19,7 miliardi a 17,3 miliardi.
Le sofferenze non sono più un problema per il settore bancario italiano: negli ultimi anni, infatti, sono crollate e sono sensibilmente cresciute le cosiddette coperture. Rispetto al picco del 2015, quanto la massa di crediti deteriorati superò quota 350 miliardi e il tasso di copertura era al 45%, nel 2018, il totale dei prestiti rischiosi o in perdita è sceso sotto quota 200 miliardi. Il tasso di copertura è salito, invece, al 52,8%: si tratta di un valore assai più alto rispetto a quello delle più grandi banche europee. Nel corso del 2018, i crediti deteriorati netti sono calati a 90 miliardi, con una riduzione di 40 miliardi rispetto al 2017: una discesa legata a significative operazioni di cessione di non performing loan (55 miliardi nel 2018, 42 miliardi nel 2017, 26 miliardi nel 2016). Rispetto allo stock di finanziamenti, gli npl valgono il 4,3%, nel 2015 erano al 9,8%. Tale miglioramento, ha consentito alle banche di ridurre sensibilmente gli accantonamenti, liberando risorse in bilancio: le somme accantonate relative ai crediti deteriorati sono calate di 6,4 miliardi (-33%) a 13 miliardi nel 2018 rispetto ai 19,4 miliardi del 2017). Per quanto riguarda i primi 5 gruppi bancari del Paese, gli accantonamenti per crediti deteriorati sono calati di 4,1 miliardi (-32,8%) da 12,7 miliardi a 8,5 miliardi.
I ricavi del settore risultano sostanzialmente immobili, come dimostrato dall’andamento dei più importanti valori di conto economico: il margine di intermediazione dell’intero settore è salito di appena 741 milioni (+0,9%) nel 2018, attestandosi a 82,7 miliardi; per i primi 5 gruppi bancari italiani, questa voce si è attestata a 51 miliardi in salita di 1,1 miliardi (+2,3%). Il settore ha messo insieme utili per 12,5 miliardi nel 2018, rispetto ai 15,8 del 2017 (in cui hanno pesato alcune operazioni straordinarie, compresi i 3,5 miliardi parte dei contributi pubblici per il salvataggio delle banche in crisi). Il risultato di gestione si è attestato a 27,9 miliardi, in crescita di 2,7 miliardi rispetto al 2017 (+10,8%); per i primi 5 gruppi, si è trattato di 18,6 miliardi nel 2018, con un aumento di 3,9 miliardi (+27%) sull’anno precedente.
Evidenze positive si registrano per quanto riguarda gli indici patrimoniali e i parametri di bilancio. Il cost-income (principale indicatore di bilancio che misura il rapporto tra costi e fatturato: più è basso, più la banca è efficiente) è migliorato: dal 69,3% del 2017 al 66,2% del 2018; per i primi 5 gruppi bancari, si è passati dal 70,6% al 63,5%. Il risultato è in linea con le principali banche europee. Per quanto riguarda il return on equity (roe ovvero ritorno sul capitale, calcolato al netto del contributo per le ex venete), si è passati dal 4,1% del 2017 al 5,7% del 2018 e, misurato sui risultati dei primi 5 gruppi, dal 4,6% al 6,3%.
Il risultato operativo netto (il compenso che le banche ottengono dalla gestione dei costi con i ricavi che producono al netto di “voci” straordinarie di bilancio) è cresciuto esponenzialmente da 1,9 miliardi a 11,2 miliardi e da meno 607 milioni a 7,4 miliardi per i primi 5 gruppi. Su questo miglioramento ha pesato l’incidenza delle rettifiche sui crediti sul risultato di gestione, passata al 77% al 46,6% (per i primi 5 gruppi dall’86,6% al 45,8%): un quadro assai positivo che non rende più necessario altri tagli sul versante dei costi. I costi del personale assorbono il 34,4% dei “ricavi” nel 2018 rispetto al 37,5% del 2017.