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La recente sentenza n. 1760/2025 della Corte di Cassazione, depositata il 15 gennaio 2025 ha stabilito che i Bitcoin non possono essere oggetto di sequestro in caso di reati tributari. In parole semplici, non è possibile sequestrare un bene “volatile” come i Bitcoin per coprire un debito calcolato in valuta legale.
In particolare, la questione in oggetto riguarda un caso in cui la Procura di Firenze, nel maggio 2024, aveva disposto la confisca di criptovaluta nei confronti di un contribuente accusato di aver evaso il fisco per una somma di 120.638 euro, derivante da plusvalenze ottenute tramite operazioni di trading in moneta virtuale.
La Suprema Corte ha ribadito che i Bitcoin non possono essere sequestrati per equivalente, poiché non rappresentano una moneta a corso legale e non possono essere considerati mezzo di pagamento idoneo a garantire le pretese fiscali.
Il provvedimento enunciato si basa sul principio contenuto nell’art. 322-ter del Codice Penale, che consente alle autorità di colpire beni di valore pari al profitto del reato qualora non sia possibile individuare direttamente il guadagno illecito. Tuttavia, la Cassazione ha chiarito che le criptovalute, essendo prive di valore legale e caratterizzate da un’elevata volatilità, non rientrano tra i beni idonei a essere oggetto di tale misura.
Un precedente giurisprudenziale di grande impatto
Questa sentenza rappresenta un precedente giurisprudenziale importante, poiché chiarisce la distinzione tra valute legali e criptovalute nel contesto delle misure cautelari patrimoniali.
Come ogni sentenza innovativa, anche questa porta con sé pro e contro per i vari attori coinvolti. Da un lato, gli investitori nel settore cripto accolgono con favore la decisione, in quanto garantisce loro maggiore certezza giuridica e protegge i loro beni digitali da confische sproporzionate rispetto l’instabilità del mercato. Dall’altro lato, le istituzioni fiscali potrebbero incontrare difficoltà nel recupero delle somme evase, poiché il Bitcoin – a differenza di un conto bancario tradizionale – è decentralizzato, anonimo e difficile da tracciare con i metodi tradizionali.
Il contesto attuale: una regolamentazione in evoluzione
La sentenza della Cassazione si inserisce in un contesto internazionale di crescente attenzione verso le criptovalute. La recente introduzione del regolamento MiCA (Markets in Crypto-Assets) da parte dell’Unione Europea mira proprio a colmare le lacune normative, fornendo una cornice più chiara per la regolamentazione degli asset digitali. Tuttavia, l’Italia non ha ancora recepito pienamente queste norme, lasciando spazio a interpretazioni giurisprudenziali come quella in esame.
Attualmente, la legislazione fiscale italiana considera le monete virtuali alla stregua di attività finanziarie atipiche, soggette a tassazione sulle plusvalenze, ma la loro qualificazione giuridica rimane incerta, in assenza di una normativa specifica che disciplini sequestri e confische.
Quali scenari per il futuro?
In un contesto in cui le criptovalute assumono un ruolo sempre più rilevante nell’economia globale, la pronuncia della Cassazione, se da un lato riafferma la natura peculiare dei Bitcoin come asset non assimilabili alla moneta legale, dall’altro lascia aperta la questione su come lo Stato potrà efficacemente contrastare fenomeni di evasione e riciclaggio che sfruttano la tecnologia blockchain.
Brigida Raso