Palermo – Dal 2015 al 2017 il Pil della Sicilia è cresciuto del 3,6 per cento, in assoluto un incremento contenuto ma che segnala che siamo usciti da una crisi paragonabile ad una guerra. E’ questo uno dei principali elementi che emergono dal 46° Report Sicilia, il Rapporto sull’economia siciliana del Diste Consulting, dal titolo “ Andiamo a cominciare, la guerra è finita! Costruiamo dalle macerie”. Rapporto che dal 1995, ventidue anni, viene puntualmente presentato dalla Fondazione Curella.
Il 46° Report Sicilia è stato presentato nella facoltà di Economia dal presidente della Fondazione Curella Pietro Busetta (Università di Palermo), dal presidente del Diste Consulting Alessandro La Monica, che ne hanno discusso con i professori Sebastiano Bavetta e Fabio Mazzola dell’Università di Palermo e con il presidente della Regione Rosario Crocetta. Presenti anche il segreteraio regionale della Cisl Mimmo Milazzo e il presidente dell’Irfis Alessandro Dagnino.
“La diffusione da parte dell’Istat, pochi mesi fa, delle statistiche sull’economia regionale nel 2015 – spiega il professore Pietro Busetta – ha generato un certo sollievo nell’opinione pubblica. La crescita del prodotto interno lordo dell’Isola, stimata pari al 2,1%, a fronte di un +0,7% del prodotto nazionale, sembrava decretare la fine della più grave recessione del Dopoguerra, indicando inoltre un’indubbia capacità del sistema produttivo di resistere ai colpi devastanti della crisi, e di reagire dopo un rinculo di tanti anni. Ma con il susseguirsi dei mesi – prosegue Busetta – l’entusiasmo si è andato mitigando, le analisi sull’andamento della congiuntura mostrano, infatti, un sistema produttivo che fatica ad oliare il motore della crescita tornato su una traiettoria fortemente attenuata”.
Stando allo studio condotto dal Diste, il 2016 si sarebbe chiuso per l’economia siciliana con un incremento del PIL intorno all’1,0%, per la seconda volta di fila meno anemico del dato dell’Italia (+0,8%). Purtroppo, va sottolineato, che il numero delle famiglie residenti che vivono di stenti, quindi in condizioni di povertà relativa, si aggirerebbe attorno a 500 mila unità, mentre il rischio di povertà o esclusione sociale incombe ormai sulla metà della popolazione.
Positivi anche gli andamenti dell’occupazione che, secondo il Report, nei tre anni è cresciuta del 2,7 per cento, in assoluto dal 2015 con un saldo di 20.590 addetti. Anche se il tasso di disoccupazione per i noti effetti statistici dovuti all’ingresso di nuove persone nel mercato del lavoro è aumentato fino al 22 per cento. Nel complesso, gli occupati sarebbero aumentati di 8 mila unità (+0,6%), dopo i 31 mila dell’anno precedente (+2,3%).
“L’incremento netto degli 8 mila occupati – osserva Alessandro La Monica – è dovuto al crollo delle attività che producono beni, associato ad aumenti in settori che erogano servizi: complessivamente l’industria, l’agricoltura e le costruzioni avrebbero ridotto la forza lavoro di circa 20 mila unità, mentre i servizi ne avrebbero creato 28 mila”. Si stima che negli ultimi otto anni l’industria abbia eliminato circa 30 mila lavoratori, le costruzioni altri 60 mila e l’agricoltura quasi 25 mila; i servizi avrebbero invece limitato la perdita a meno di 7 mila unità”.
Interessante l’aumento degli investimenti fissi lordi nel 2015 del 4,6 per cento. “Certo – spiega Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella – siamo usciti dalla guerra ma lontani dai tassi di crescita necessari alla nostra regione per diventare una regione a sviluppo compiuto”.
L’industria sarebbe ritornata in territorio negativo, segnando un calo dell’1,5%, mentre il valore aggiunto prodotto dalle costruzioni si ridurrebbe dello 0,5%. L’arretramento della produzione rispetto all’anno pre/recessivo è ingente, soprattutto per l’industria e le costruzioni. Nell’industria il valore aggiunto prodotto nel 2016 sarebbe inferiore del 44% a quello di nove anni prima; per le costruzioni è ugualmente abnorme (41%). In agricoltura e nel ramo dei servizi, anche a causa dei forti contenuti anticiclici, la crisi avrebbe colpito meno, per cui il divario è più misurato: -7% nel primo caso e -4% nel secondo.
“La Sicilia è in crescita perché cresce la domanda di taluni beni e servizi – ha spiegato il professore Sebastiano Bavetta – come per esempio il turismo. Ma non è cresciuta nella misura in cui non sono stati ridotti i costi. Abbiamo bisogno di ricerca tecnologica e di abbattimento dei costi legati all’attività svolta nel territorio, costi amministrativi e fiscali. L’Università ha un ruolo chiave e ha l’obbligo di entrare nel territorio in maniera intensa ed utile creando collaborazioni in grado di produrre valore. Ma serve anche innovazione di processo nel rapporto con gli enti locali”, ha aggiunto Bavetta. Che poi ha puntato il dito sui costi, in particolare sulle “aliquote fiscali altissime” e sulla “macchina amministrativa che non è strutturata per produrre i risultati che i cittadini si aspettano. Servono – ha sottolineato bavetta – regole più semplici, più chiare, più precise per gli imprenditori”.
Secondo l’analisi del Diste, il 2017 sarà particolarmente delicato per l’economia siciliana, che dovrebbe essere contraddistinta da una fase di ulteriore indebolimento della domanda, per cui il tasso di crescita del prodotto interno lordo non dovrebbe andare oltre lo 0,5% (+0,7% il dato dell’Italia), dopo l’aumento medio annuo dell’1,5% del biennio precedente. Sul mercato del lavoro, la tendenza alla diminuzione dell’occupazione emersa nell’estate scorsa dovrebbe proseguire nella prima parte dell’anno, per poi riportare spunti migliorativi. La domanda di lavoro manterrà una sostanziale stabilità, con nuove flessioni in agricoltura e nelle costruzioni bilanciate dagli aumenti attesi per l’industria e i servizi. Il tasso di disoccupazione dovrebbe salire al 22,5%, anche perché l’urgenza d’integrare i magri bilanci familiari indurrà un discreto numero di inoccupati a entrare nel mercato del lavoro per cercare attivamente un impiego.
Saranno fiacchi i consumi delle famiglie: il 2017 dovrebbe chiudersi, secondo le previsioni con un +0,6%, lievemente inferiore all’anno passato, dovuto al ristagno dell’occupazione e del reddito disponibile, al progressivo rincaro dei prodotti energetici e al contenimento del potere d’acquisto. Gli investimenti fissi conserveranno un profilo di crescita stentata (+1,7%).
“Abbiamo trovato un disastro e ora la Sicilia finalmente riparte. È una Sicilia che cresce – ha commentato il presidente Rosario Crocetta – dopo anni di depressione profonda che ci avevano fatto perdere ben 14 punti di Pil in sette anni e ben 150.000 posti di lavoro. Riparte grazie al lavoro fatto dal Governo della Regione, mediante la ripresa degli investimenti e la spesa comunitaria. Riparte grazie al lavoro che le imprese siciliane stanno facendo in tutti settori dell’economia: dalla agricoltura, all’industria al turismo al settore sociale. Il 3,6% è un dato eccezionale, che trascina il Pil nazionale. Non sono affatto convinto, però, che nel 2017 ci sarà una decrescita: è un abbassamento rispetto a noi stessi e non rispetto ai dati nazionali. Una ricetta può essere sicuramente la defiscalizzazione – ha aggiunto Crocetta -, ma occorrono politiche nazionali adeguate per eliminare il gap Nord-Sud”.
“Adesso bisogna avviare i cantieri del Patto per la Sicilia che ammontano a oltre 3 miliardi e 200 milioni tra Regione e Città metropolitane, di cui 2 miliardi 320 milioni a cura della Regione”, ha proseguito Crocetta. Occorre far partire la spesa europea e misure urgenti per i disoccupati con i cantieri di servizio e i cantieri di lavoro per 250 milioni di euro. E’ necessario prevedere misure a favore delle imprese che assumono, stabilizzare i precari, dare una spinta ulteriore allo sviluppo e alla solidarietà. Prima di tutto il giovani, i poveri e le imprese – ha concluso Crocetta -. Ce la faremo. Ad alcuni dico invece che se invece di fare polemiche politiche mi lasciassero lavorare, potremmo fare molto di più”.