Martedì 8 giugno, è la Giornata Mondiale degli Oceani. L’evento è organizzato dal 1992 da The Ocean Project e dal World Ocean Network, ed è riconosciuto dall’Onu dal 2008.
Quest’anno il tema è “Oceano: vita e sostentamento”, per sottolineare il ruolo dei mari per la produzione di ossigeno e cibo e per l’assorbimento della CO2. La Giornata del 2021 vuole anche sostenere il movimento globale “30×30”, sostenuto da scienziati e ambientalisti di tutto il mondo, che vuole arrivare a far dichiarare area protetta nel 2030 almeno il 30% della superficie terrestre (terre e acque).
Centinaia di organizzazioni in tutto il mondo sono mobilitate per celebrare la Giornata, con avvenimenti in presenza e virtuali. A guidare la manifestazione è il Consiglio consultivo giovanile della Giornata mondiale degli oceani, formato da 25 membri dai 16 ai 23 anni da 20 diversi paesi.
Le due grandi minacce della nostra epoca per gli oceani sono l’inquinamento da plastiche e il riscaldamento globale. Si calcola che in media ogni anno 8 milioni di tonnellate di plastica finiscano in mare, e che al momento ce ne siano oltre 150 milioni di tonnellate. Arrivano soprattutto dai grandi fiumi di Asia sudorientale, Africa e America Latina, dove i paesi hanno sistemi di smaltimento dei rifiuti insufficienti. Secondo una ricerca del World Economic Forum, di questo passo nel 2050 negli oceani il peso complessivo della plastica supererà quello degli animali marini.
L’altra grande minaccia per i mari è il riscaldamento globale, che provoca il fenomeno della “acidificazione”.
L’aumento della CO2 in atmosfera fa aumentare questa anche nelle acque: 1/4 dell’anidride carbonica atmosferica finisce disciolta nelle acque. La CO2 in acqua si trasforma in acido carbonico, aumentando l’acidità. Questo impedisce ai gusci e alle conchiglie di formarsi, mettendo a rischio plancton, molluschi bivalvi, coralli, e tutta la catena alimentare che parte da loro, compresi pesci e crostacei mangiati dall’uomo.
Il riscaldamento delle acque poi fa morire i coralli (il fenomeno dello sbiancamento), modifica gli habitat degli animali marini, mettendo alcune specie a rischio, e fa sciogliere i ghiacci dei territori polari, facendo aumentare il livello degli oceani e minacciando le zone costiere abitate dall’uomo.
Ispra, Mediterraneo inquinato e sfruttato. Specie aliene di nuova introduzione, stock ittici sovra sfruttati, rifiuti in grande quantità: è un Mar Mediterraneo in sofferenza quello raccontato dall’ISPRA, l’istituto di ricerca del Ministero della Transizione ecologica, in occasione della Giornata mondiale degli oceani, che si celebra l’8 giugno.
Sono 243 le specie aliene identificate nei mari italiani, di cui il 68 % è ormai stabile lungo le nostre coste. Le aree a maggior rischio di introduzione sono i porti e gli impianti di acquacultura: in queste zone sono 47 le specie aliene rilevate negli ultimi anni, delle quali 24 di recente introduzione.
II 75 % degli stock ittici nel Mediterraneo sono sovra sfruttati, ma 6 anni fa eravamo all’88%: le azioni di sostenibilità stanno dando i loro frutti.
Con una media di 400 rifiuti ogni 100 metri, le nostre spiagge sono diventate delle piccole discariche. I rifiuti più abbondanti (60%) sono borse per la spesa, cotton fioc, posate usa e getta, cannucce, bottiglie. In alcune aree, specie nell’Adriatico, sono molto abbondanti le reti per la pesca e l’acquacoltura.
Sui fondali italiani si deposita più del 70% dei rifiuti marini, dei quali il 77% è plastica. In alcune aree dell’Adriatico si trovano più di 300 oggetti per chilometro quadrato, e la plastica rappresenta più del 80%. È stato stimato che un pescatore di Chioggia può arrivare a pescare fino a 8 tonnellate di rifiuti in un anno, ovvero 9 kg di rifiuti ogni 100 kg di pesce.
Nel Mediterraneo più del 63% di tartarughe marine ha ingerito plastica. Nel Mar Tirreno più del 50% di alcuni pesci analizzati e il 70% di alcuni squali che vivono in profondità avevano plastiche nello stomaco. Le reti da pesca abbandonate intrappolano, danneggiano e sradicano gli organismi che vivono sui fondali profondi, come spugne, gorgonie, coralli neri.
Greenpeace, nel Tirreno la plastica è aumentata. Nelle acque del Mar Tirreno centro-settentrionale e nelle specie marine che lo popolano è stata trovata una diffusa presenza di microplastiche e microfibre, con picchi di contaminazione nelle acque superficiali del Canale di Corsica. La concentrazione di questi inquinanti a dieci metri di profondità è fino a cento volte più elevata rispetto alla superfice. È quanto emerge dalle indagini effettuate nel corso dell’estate 2020 da CNR-IAS di Genova, Università Politecnica delle Marche, Università di Genova e Greenpeace. Gli esiti vengono diffusi oggi, alla vigilia della Giornata mondiale degli oceani.
Nonostante il lockdown dovuto alla pandemia di Covid-19, i risultati mostrano che nel tratto di mare investigato la presenza di microplastiche e microfibre non è diminuita rispetto agli anni precedenti. Al contrario si registra un aumento della contaminazione nelle acque, in particolare nel Canale di Corsica fino a Capraia, con concentrazioni superiori al milione e mezzo di particelle per chilometro quadrato, paragonabili a quelle presenti nei grandi vortici oceanici.
“I risultati indicano che le microplastiche e, soprattutto, le microfibre si accumulano anche in zone teoricamente lontane da sorgenti di inquinamento”, dichiara Francesca Garaventa, referente per CNR-IAS della ricerca. “Le indagini preliminari a differenti profondità nella colonna d’acqua confermano che la presenza di microplastiche e microfibre è molto più elevata a 10 metri rispetto alla superfice”.
“I dati raccolti confermano una volta di più che il nostro mare è malato a causa dell’inquinamento da plastica – dichiara Giuseppe Ungherese, responsabile campagna inquinamento di Greenpeace -. Una situazione destinata ad aggravarsi, visto che stime recenti indicano come la produzione di plastica triplicherà nei prossimi decenni. È inaccettabile che ancora oggi, nonostante sempre più evidenze, aziende e governi non affrontino concretamente il problema”.
M5S, ripartito l’iter della Legge Salvamare. L’iter per l’approvazione del disegno di legge Salvamare, avviato dall’ex ministro dell’Ambiente pentastellato Sergio Costa, “è finalmente ripartito, e ora urge calendarizzarlo in Commissione. Bastano poche ore di lavoro per votare questa norma importantissima, che punta non solo sul recupero di rifiuti in mare e nelle acque interne, ma avvierà un nuovo modello di economia circolare, volto al recupero dei materiali plastici”. Così i senatori del MoVimento 5 Stelle in Commissione Ambiente di Palazzo Madama, alla vigilia della Giornata Mondiale degli Oceani.
WWF, il Mediterraneo si sta tropicalizzando. Con l’aumento delle temperature del 20% più veloce della media globale e l’innalzamento del livello del mare che dovrebbe superare il metro entro il 2100, il Mediterraneo si sta tropicalizzando, diventando il mare con il riscaldamento più rapido e il più salato del nostro pianeta. Lo sostiene il nuovo rapporto del WWF “L’effetto del cambiamento climatico nel Mar Mediterraneo”, diffuso in occasione della Giornata Mondiale degli Oceani.
Centinaia di specie aliene si sono già adattate a vivere nel Mediterraneo, secondo la ricerca. I molluschi autoctoni sono diminuiti di quasi il 90% nelle acque israeliane, specie invasive come il pesce coniglio costituiscono l’80% delle catture di pesce in Turchia e specie meridionali come barracuda e cernie brune sono diventate osservazioni comuni nelle acque settentrionali della Liguria.
Le temperature più calde e le tempeste stanno trasformando anche i fondali delle acque profonde. Praterie endemiche di Posidonia, gorgonie e Pinna nobilis sono diminuite in tutta la regione, fino ad estinguersi completamente in alcune aree. La perdita di queste specie avrebbe un impatto drammatico sull’intero ecosistema marino, poiché forniscono habitat vitali per molte specie e producono benefici nella lotta al cambiamento climatico come serbatoi naturali di carbonio.
Per Giulia Prato, responsabile Mare del WWF Italia, “la tropicalizzazione del Mediterraneo è già avanzata. Il cambiamento climatico non è un tema del futuro, è una realtà che oggi scienziati, pescatori, subacquei, comunità costiere e turisti stanno già vivendo. Se vogliamo invertire questa tendenza, dobbiamo ridurre la pressione umana e costruire la resilienza”.