E’ morto nella notte a Torino per una insufficienza cardiaca Giampiero Boniperti, presidente onorario della Juventus, di cui è stato una bandiera prima come calciatore e poi come dirigente. Lo rende noto la famiglia all’ANSA.
Boniperti, che negli ultimi anni si era ritirato a vita privata, avrebbe compiuto 93 anni il prossimo 4 luglio. I funerali si svolgeranno nei prossimi giorni in forma privata per volere della famiglia.
“La commozione che in questo momento tutti noi stiamo provando – si legge sul sito della Juventus – non ci impedisce di pensare con forza a lui, a tutto ciò che il Presidentissimo è stato e sarà per sempre nella vita della Juventus. Una figura indelebile, che da oggi si consegna al ricordo, perché sui libri di storia del calcio ci è finita già da tempo. Perché quando esprimi un pensiero, e quel pensiero diventa parte del Dna della società a cui hai dedicato la vita – aggiunge il club -, vuol dire che il tuo carattere ne è diventato identità e modo di essere. Per sempre”.
“Alla Juve posso fare solo un augurio: continuare a vincere perché, come sapete, rimane sempre l’unica cosa che conta…”, aveva raccontato Boniperti all’ANSA, con una lettera scritta di suo pugno per i suoi novant’anni. Quella frase, “vincere non è importante, è l’unica cosa che conta” è il marchio di fabbrica della Juventus, un mantra e un monito, allo stesso tempo, per chiunque indossi la maglia bianconera. Giampiero Boniperti quella casacca l’ha portata per 444 partite. Eppure, quando era bambino si sarebbe accontentato – aveva raccontato qualche tempo fa – di portarla “una volta, per essere felice per sempre”.
Di vittorie e soddisfazioni alla Juventus ne ha avute tantissime, sul campo, ma soprattutto dietro la scrivania: cinque scudetti da giocatore, nel ‘Trio magico’ con Charles e Sivori, tutti i trofei possibili, in Italia e nel mondo, nel suo ventennio da presidente. Nel club bianconero era arrivato a 17 anni, pagato 60mila lire fifty fifty tra la squadra del suo paese, Barengo (Novara), e il Momo che l’aveva tesserato. Ne è uscito 48 anni dopo, quando ha lasciato la presidenza effettiva della Juventus. E’ stato presidente dal ’71 al ’90 e poi, quando fu richiamato dalla famiglia Agnelli, amministratore delegato dal ’91 al ’94. Dal 2006 era presidente onorario. “La Juve – è un’altra delle sue espressioni più amate – non è soltanto la squadra del mio cuore, è il mio cuore”. Da presidente, lasciava lo stadio alla fine del primo tempo, e seguiva alla radio il secondo; tra le tante sfide quelle più sofferte erano le stracittadine con il Torino, anche se ai granata ha segnato più di ogni altro bianconero: 14 gol (13 in campionato, 1 in Coppa Italia). “Il derby – aveva spiegato, da dirigente – mi consuma, amo troppo la Juve e ho così rispetto della Juve che non può essere altrimenti”. Con i giocatori aveva sempre il coltello dalla parte del manico, ma era lontano il tempo della predominanza dei procuratori. Dopo il Mundial vinto dall’Italia nell’82 in Spagna, aveva messo fuori rosa, perché avevano chiesto un aumento, nientemeno che Paolo Rossi, Tardelli e Gentile. Una settimana di stop, un’amichevole saltata, prima di essere nuovamente ricevuti da Boniperti, e di firmare il contratto, con la concessione di un piccolo ritocco. Dei tantissimi calciatori di grido che ha portato alla Juventus, due tra i più amati sono stati Scirea e Del Piero; alla Juve ha fatto venire, dal Milan, un giovane Giovanni Trapattoni con il quale ha condiviso dieci stagioni con i primi successi internazionali. Una scommessa vinta contro gli scettici: con il ‘Trap’ alla guida, la Juve vinse subito lo scudetto con il record a quota 51, quando le vittorie valevano ancora due punti. E’ stato europarlamentare dal ’94 al ’99. Ma la sua grande, vera e unica passione è sempre stata la Juventus.