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Pensione sociale ai mafiosi fuori dal carcere va mantenuta. Lo dice la Consulta

Non è legittimo revocare la pensione sociale ai condannati per mafia o terrorismo che si trovano in situazione di indigenza, anche nel caso in cui scontino la pena fuori dal carcere. Anche a loro, ha stabilito ieri una sentenza della Corte costituzionale, vanno assicurati i mezzi minimi di sostentamento. E non si può, pertanto cancellare il trattamento assistenziale di cui costoro godono, senza il quale resterebbero privi dei mezzi di sussistenza. Ciò in quanto, ritiene la Consulta, sarebbe irragionevole che lo Stato valutasse una persona meritevole di misure alternative alla detenzione per poi privarlo dei mezzi per mangiare, quando essi siano ottenibili solo dalle prestazioni assistenziali. Per la Corte costituzionale, il diritto all’assistenza per chi è in stato di bisogno «deve essere comunque garantito a ciascun individuo, pur se colpevole di determinati reati», anche gravissimi.

Pensione sociale

Contrasto col principio di uguaglianza. A dubitare della legittimità di queste norme erano stati i tribunali di Fermo e di Roma. E la Consulta – con la sentenza numero 137 (relatore il vicepresidente Giuliano Amato) ha stabilito che le disposizioni portate alla sua attenzione sono in contrasto con due articoli della Costituzione: il numero 3, che sancisce il principio di uguaglianza e di ragionevolezza; e il 38, che prevede che ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale, ponendo dunque a carico dello Stato e della collettività un dovere di solidarietà, che si concretizza in specifiche misure di assistenza economica.

Secondo i giudici costituzionali lo Stato può modulare la disciplina delle misure assistenziali, ma «non può pregiudicare quelle prestazioni che si configurano come misure di sostegno indispensabili per una vita dignitosa». Pertanto, pur considerando che i condannati per mafia e terrorismo «hanno gravemente violato il patto di solidarietà sociale che è alla base della convivenza civile», è l’importanza di quello stesso patto a prevedere che a loro «siano comunque assicurati i mezzi necessari per vivere».

Illegittime due norme della riforma del lavoro. Sotto il profilo tecnico-giuridico, insomma, con la sentenza di ieri la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 61, e, in via consequenziale del comma 58, dell’articolo 2 della legge 92 del 2012. Tradotto, significa che da quella riforma del mercato del lavoro vengono depennnate due norme: quella che prevede che per una serie di gravi reati (a partire da quelli di associazione terroristica e mafiosa), il giudice nel pronunciare la condanna applichi anche la sanzione accessoria della revoca di prestazioni assistenziali (cioè l’indennità di disoccupazione, l’assegno sociale, la pensione sociale e la pensione per gli invalidi civili); e quella che stabilisce che la revoca, con effetto non retroattivo, sia disposta dall’ente erogatore nei confronti dei soggetti già condannati con sentenza divenuta definitiva all’entrata in vigore della legge. (Da Avvenire)

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