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Il presidente della Regione siciliana Nello Musumeci ama presentarsi al pubblico come il volto onesto e corretto di una Sicilia che vuole cambiare. E sulla probità del presidente, sulla sua dirittura morale, c’è poco da dire o da aggiungere. Ma il governatore siciliano saprà bene, vista la sua lunga esperienza politica, che l’essere lui una persona onesta non porta come logica conseguenza che tutti gli assessori del suo governo lo siano e soprattutto non porta come conseguenza che l’apparato burocratico della Regione si sia adeguato a regole etiche di rispetto per i cittadini e a regole organizzative di efficienza e efficacia.
Che Musumeci lo voglia o no quello che emerge è una Regione governata dai capataz, da questo o quell’altro guitto della politica che di colpo si è ritrovato ad avere un ruolo pubblico da grande livello e responsabilità, che continua a ragionare in termini clientelari e amicali, di clan e di appartenenza, di privilegio per alcuni magari ritenuti grandi intellettuali oggi silenti di fronte a questa situazione di assoluta mancanza di rispetto per i diritti di tutti mentre in passato così solerti ad attaccare chiunque. Forse perché, oggi, questi grandi intellettuali sono premurosamente indennizzati per il loro silenzio. Ma questo è un discorso che va affrontato adeguatamente e lo faremo più avanti.
Oggi vogliamo occuparci dei capataz, di certi burocrati a buon mercato che per gli amici la legge la interpretano per tutti gli altri la applicano stiracchiando il diritto a loro uso e facendo diventare la norma uno strumento di mero esercizio del potere. E’, come si suol dire, l’apparato della Regione del Bignamino del diritto amministrativo, quella che ha studiato i riassuntini e quando si tratta di decidere su questioni non segnalate da nessuno o non caldeggiate da qualche politico o amico non sente ragioni nemmeno di fronte ai pareri dei luminari. Che vergogna. E non basta certo giustificare che così fan tutti e che oggi i treni arrivano in orario e che prima le cose andavano peggio. Non basta perché quando si è perso il senso della qualità e del rispetto, quando si comincia a ragionare in termini di lascia passare solo per questo amico o amico degli amici siamo ormai oltre la civiltà del diritto e siamo già entrati nel regime dei privilegi. Forse il presidente della Regione siciliana non è stato informato del fatto che qualche esponente del suo governo mal interpretando il suo ruolo, nonostante l’ispirazione liberal democratica del suo partito, si è di colpo trasformato in gerarca che tutto può e che soprattutto immagina che tutti gli altri siano suoi servi e non cittadini cui portare rispetto.
C’è una strisciante cultura mafiosa che dilaga, frutto vogliamo sperare di una sbagliata interpretazione del ruolo. Ci sono, per esempio, i grandi privilegiati del momento: certi piazzisti degli eventi, sedicenti professionisti della comunicazione sempre presenti, con passione famelica per il denaro pubblico, il cui merito è di aver servito con dignità in questa o quella festa di partito. Per loro nessun problema: denaro a vagonate per fare tutto quello che vogliono fare. Per gli altri invece briciole o qualche patrocinio gratuito. C’è una voglia di monopolio criminale che ci disturba e ci insospettisce con certi camerati o presunti liberali da strapazzo o ancora ipocriti cattolici che puntano a costruire consenso a buon mercato in vista delle elezioni d’autunno. Lo diciamo subito. Per quanto riguarda noi no pasaran.