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Milano – Fuoricasa sempre più protagonista dei consumi alimentari degli italiani. È quanto emerge dall’ultimo Rapporto Ristorazione della Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi sull’andamento del settore e dei relativi consumi nel 2016, presentato oggi, in occasione di una conferenza stampa tenutasi presso la sede Confcommercio di Milano – Lodi – Monza Brianza a Palazzo Castiglioni (Milano).
L’impatto della crisi sui consumi alimentari in casa (-12% pari a una flessione di 18,4 miliardi di euro tra il 2007 ed il 2015) ha fatto sì che il peso della ristorazione sul totale dei consumi alimentari guadagnasse qualche posizione smentendo così le suggestive ipotesi che vorrebbero un ritorno ai consumi in casa a scapito di quelli fuori le mura domestiche.
Sono infatti 39 milioni gli italiani che hanno dichiarato di aver consumato pasti fuori casa nel 2016 confermando l’immagine di un’Italia in controtendenza rispetto al resto d’Europa, dove al contrario i consumi alimentari fuori casa hanno registrato una significativa contrazione: nel nostro Paese nel 2016 è proseguito, secondo le stime dell’ufficio studi di Fipe, da un lato il calo dei consumi alimentari domestici (-0,3%), dall’altro l’incremento di quelli fuori casa (+1,1%).
“I dati relativi al 2016 emersi dal Rapporto confermano la ripresa dei consumi per il settore del fuori casa e la centralità del lavoro nel settore, dimostrata dal forte aumento dell’occupazione, ha dichiarato Lino Enrico Stoppani, Presidente Fipe –. L’incremento occupazionale è stato inoltre favorito dallo strumento dei voucher, una risorsa vitale per un settore caratterizzato da stagionalità e picchi di lavoro imprevedibili. Una scelta all’insegna della trasparenza che ha contribuito a far emergere il lavoro irregolare e creare nuove opportunità occupazionali per i giovani, garantendo i contributi INPS e copertura assicurativa. Una guerra contro i voucher nella ristorazione è totalmente sbagliata, anche se condividiamo la necessità di alcuni correttivi per contrastare gli abusi”. “Nel 2016 inoltre – prosegue Stoppani – si è registrata un’elevata mortalità di imprese e un abbassamento della qualità, soprattutto a causa di un eccesso di offerta nel settore, dimostrata dall’elevato numero di esercizi take away, per nulla legati alle tradizioni gastronomiche delle nostra città, che spesso mettono a rischio anche l’identità e l’attrattività dei nostri centri storici”.
Interessante da questo punto di vista risulta la fotografia del settore dei pubblici esercizi scattata dal Rapporto: se da un lato, infatti, la rete nel 2016 si è ampliata grazie all’apertura di 20.184 nuove attività (+8,1% rispetto al 2008), dall’altro il livello qualitativo dell’offerta si è abbassato soprattutto nei centri storici italiani, dove si è acuita la contrapposizione tra l’incremento di attività di ristorazione take away del 41,6% e la riduzione dei bar del -9,5%.
A differenza di quanto emerso nelle ultime settimane, durante le quali prodotti di punta del consumo alimentare fuori casa come la tazzina di caffè al bar sono diventati i bersagli principali della denuncia di aumenti straordinari ed ingiustificati, un’attenta analisi dei dati porta a conclusioni assai diverse. Nel 2002 la rilevazione del prezzo della tazzina di caffè al bar effettuata sui listini dei bar in diverse città campione forniva un prezzo medio di 1.533 lire, che convertite in euro davano 0,79. I prezzi rilevati dall’Osservatorio Prezzi a novembre 2016 sulle stesse città indicano un valore medio di 0,98 euro: il risultato è un incremento del 24%.